Il fatto
I genitori e il fratello di un pubblico dipendente, a seguito dell'improvviso decesso del proprio congiunto, agivano per il risarcimento dei danni nei confronti del Ministero - datore di lavoro - sostenendo che il loro familiare, a causa della momentanea inagibilità della propria stanza, era stato trasferito in altro luogo. Successivamente al trasferimento, avvertiva dei sintomi di tipo influenzale, che, aggravatisi velocemente, ne comportavano l'immediato ricovero presso una struttura ospedaliera dove decedeva 7 giorni più tardi per ritenuta infezione da morbo patogeno "legionella", contratta sul luogo di lavoro per inadeguatezza e insalubrità degli ambienti, nonché a causa della scarsa manutenzione degli impianti idrici e di condizionamento. Si riteneva che l'accaduto avesse perfezionato una fattispecie illecita anche ai sensi del D.lgs 626/1994 in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.
Il diritto
Ad avviso del Tribunale, la circostanza che il lavoratore fosse stato esposto, per almeno otto ore giornaliere, nel periodo di incubazione della malattia, a condizioni ambientali altamente favorevoli allo sviluppo e alla sopravvivenza del batterio, la non risultanza di prove circa l'incidenza sulla malattia di fattori alternativi, l'accertata inadeguatezza dei locali adibiti a luogo di lavoro, la circostanza che nello stesso periodo un altro collega avesse contratto malattia infettiva di origine batterica (meningite) costituiscono elementi decisivi per la ravvisabilità della eziologia professionale della patologia riportata.
Esito del giudizio
Il Tribunale ha ritenuto evidente la responsabilità del datore di lavoro, su cui incombeva l'obbligo di adottare tutte le misure necessarie a garantire la salute dei lavoratori, svolgendo anche un'idonea attività di manutenzione degli impianti e dei locali ad essi in uso.
[Avv. Ennio Grassini - www.dirittosanitario.net]
venerdì 8 luglio 2011
giovedì 2 giugno 2011
Asma occupazionale, interventi sul luogo di lavoro a confronto
Vi sono evidenze di scarsa qualità che i sintomi dell'asma occupazionale e la funzione polmonare migliorino tramite l'eliminazione dell'esposizione al luogo di lavoro. Anche una ridotta esposizione migliora la sintomatologia, ma sembra non essere così efficace come l'eliminazione totale. D'altra parte, quest'ultima è associata a un aumentato rischio di disoccupazione, al contrario della ridotta esposizione. Dunque il beneficio clinico tratto da una ridotta o abolita esposizione dovrebbe tenere conto anche del maggiore rischio di disoccupazione. Sono le conclusioni di una revisione Cochrane effettuata da Gerda J. de Groene del Coronel institute of occupational health di Amsterdam e collaboratori su 21 studi randomizzati (per un totale di 1.447 pazienti) relativi a 29 confronti fra interventi sul luogo di lavoro per asma occupazionale, controllati prima e dopo la loro adozione. In 15 studi, l'allontanamento dall'esposizione è stata paragonata a un'esposizione continua. L'allontanamento ha aumentato la probabilità del riferimento di una mancanza di sintomi (rapporto di rischio, Rr: 21,42), ha migliorato il volume espiratorio forzato, Fev1% (differenza media, Md: 5,52 punti percentuali), e ha ridotto l'iperreattività bronchiale aspecifica (differenza media standardizzata, Smd: 0,67). In 6 studi, invece, a essere confrontata con la continua esposizione è stata una ridotta esposizione. Quest'ultima ha aumentato la probabilità di segnalazione di assenza di sintomi (Rr: 5,35) ma non ha influito su Fev1% (Md: 1,18 punti percentuali). In 2 studi è stato evidenziato che dopo allontanamento dall'esposizione il rischio di disoccupazione aumenta rispetto al ricorso di una ridotta esposizione (Rr: 14,3) mentre in 3 lavori è stata riportata una diminuzione di introiti di circa il 25% dopo allontanamento dall'esposizione. Complessivamente, sottolineano gli estensori della revisione, la qualità delle evidenze è molto scarsa e occorrerebbero studi migliori per identificare interventi ottimali.
Cochrane Database Syst Rev, 2011 May 11; 5:CD006308
Cochrane Database Syst Rev, 2011 May 11; 5:CD006308
venerdì 20 maggio 2011
Federalismo, gli economisti temono un disastro per la sanità
La fase iniziale del federalismo, considerato che le Regioni partono con situazioni diverse sarà "lacrime e sangue" e se si procederà senza sanare le differenze regionali «sarà un disastro». Questa l'analisi dello scenario che interesserà la sanità italiana col federalismo fatta daFederico Spandonaro, docente di Economia Sanitaria all'università Tor Vergata di Roma, a margine di un convegno dedicato all'efficacia nell'assetto federale in sanità, all'Università Cattolica di Roma. «C'é una grande iniquità» aggiunge Americo Cicchetti, ordinario di Organizzazione aziendale dell'Università Cattolica «che può causare un progressivo divario tra il Nord e il Sud Italia». L'effetto dei Piani di rientro a cui sono sottoposte alcune regioni italiane è stato quello, secondo Cicchetti, di operare «tagli orizzontali invece che rendere il sistema più efficiente». Oggi si sta vivendo «una fase di transizione, in cui c'é il fondo di perequazione che salva le Regioni con performance peggiori» prosegue Cicchetti «ma queste dovranno essere pronte nel 2013 a farne a meno ed è difficile che lo siano». «La sensazione è che il federalismo non risolva da sé i problemi di iniquità» ha sottolineato Walter Ricciardi, direttore dell'Istituto di Igiene dell'Università Cattolica «e al momento è in corso un confronto serrato tra lo Stato, che chiede sanzioni severe e le Regioni che tentano di evitarle. Il problema di fondo è che la questione federale è stata affrontata nel peggiore momento economico dopo la crisi del '29. Ma i tempi ci sono stati dettati dalla politica».
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